Ercole De’ Roberti, Giovan Francesco Maineri (?), Lucrezia, Bruto e Collatino
Fig. 1, Ercole de’ Roberti, Porzia e Bruto, Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum
Fig.2, Ercole de’ Roberti, La moglie di Asdrubale, Washington, D.C., National Gallery of Art
Fig. 3, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Visione del retro della tavola.
Fig. 4, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.
Fig. 5, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.
Fig. 6, Storie di Lucrezia, xilografia da Giovanni Boccaccio, De mulieribus claris, Ulm, Zainer, 1473.
Fig. 7, Eleonora d’Aragona, xilografia da Giacomo Filippo Foresti, De plurimis claris sceltisque mulieribus, Ferrara, Rossi, 1497.
Fig. 8, Busto di Eleonora d’Aragona, particolare da Guido Mazzoni, Compianto su Cristo Morto, Ferrara, Chiesa del Gesù.
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Cat. 36. Ercole de’ Roberti (Ferrara, 1450 ca. - 1496) e collaboratore (Giovan Francesco Maineri ?), Lucrezia, Bruto e Collatino

Artista Ercole de’ Roberti (Ferrara, 1450 ca. - 1496) e collaboratore (Giovan Francesco Maineri ?)
Titolo Lucrezia, Bruto e Collatino
Datazione ca. 1489 - 1493
Supporto Olio e tempera (?) su tavola
Dimensioni 48,9 x 35,5 x 3 cm
Collocazione Modena, Galleria Estense, Sala 4
Inventario R.C.G.E. 50
Iscrizioni E Timbri Sigillo in ceralacca con compasso, pennello e stecca o scalpello da scultore e la scritta attorno “Accademia di Belle Arti”, apposto nel 1797 (Venturi 1882, pp. 349 fig. 91, 395, 401). Alla stessa epoca appartengono un altro sigillo non identificato raffigurante compasso, squadra, quella che sembra essere una campana e un altro oggetto e il cartellino frammentario che in origine portava il numero d’inventario e la provenienza dell’opera, in cui ora è leggibile solo la scritta “dell’Amm. e ”. Cartellino inventariale del “Palazzo Reale di Modena / Inventario Generale / N.° 547”. Diversi altri numeri 35, 68, 181 e, a timbro, l’attuale numero di R.C.G.E. 50.
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Scheda curatoriale a cura di Marcello Toffanello


INTRODUZIONE

Il dipinto raffigura la matrona romana Lucrezia nell’atto di colpirsi al petto con un pugnale dopo aver rivelato al marito Collatino e a Lucio Giunio Bruto di aver subito violenza da Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.

La tavola era parte di una serie dedicata a figure esemplari di donne dell’antichità comprendente anche la Porzia del Kimbell Art Museum di Fort Worth e La moglie di Asdrubale della National Gallery di Washington, che hanno dimensioni molto simili a quelle del dipinto di Modena e presentano la medesima messa in scena teatrale dello spazio in cui si svolge l’azione, circoscritto dalla finta cornice marmorea su tre lati e chiuso sul fondo da un panno sospeso.

La scelta ricercata dei soggetti rimanda all’ambiente colto della corte e a una committenza femminile. Si è infatti proposto che i dipinti siano stati realizzati per la duchessa Eleonora d’Aragona, moglie di Ercole I d’Este, elogiata dai contemporanei per le sue capacità di governo. Nella figura leggermente pingue della casta Lucrezia, vestita di un abito contemporaneo di foggia spagnola, sembra infatti celarsi un ritratto dell’energica e virtuosa duchessa morta nel 1493.

I tre pannelli costituivano probabilmente la decorazione di un mobile o dell’arredo fisso di un camerino e potrebbero aver fatto parte della decorazione dell’appartamento di Eleonora nel Castello Estense, realizzata sotto la direzione di Ercole de’ Roberti fra il 1489 e il 1493. La critica è concorde nel riconoscere nella Lucrezia i caratteri stilistici dell’ultima attività di Ercole, successiva al suo rientro a Ferrara nel 1486, rilevando però in misura diversa una certa inerzia nell’esecuzione dovuta alla partecipazione di collaboratori. In particolare, si è proposto di riconoscere nel dipinto di Modena una prova d’esordio di Giovan Francesco Maineri, ancora operante all’interno dell’atelier del maestro. La recente revisione del catalogo giovanile di Maineri rende però problematica l’attribuzione.

Storia dell’opera

Provenienza

Probabilmente dipinto per Eleonora d’Aragona Este tra il 1487 e il 1493: Ferrara, Castello Estense ?; Roma, collezione del cardinale Alessandro d’Este (1568-1624) (Inventario del 1624 in Campori 1870, p. 72); Modena, collezioni estensi ?; Sassuolo, Palazzo Ducale, 1663 (Arredi, suppellettili 1993, p. 90); Modena, Galleria dell’Accademia di Belle Arti, 1797 (Inventario del 25 settembre; Venturi 1883, p. 402 n. 19); Modena, Galleria Estense in Palazzo Ducale, dal 1854 (Castellani Tarabini 1854, p. 13 n. 27); Modena, Galleria Estense in Palazzo dei Musei, dal 1894.

Si tratta probabilmente del dipinto da più a lungo appartenente alle collezioni estensi, dalle quali non sembra essere mai uscito. Eseguito quasi certamente per Eleonora d’Aragona come parte della serie cui appartenevano anche le tavole raffiguranti Porzia e Bruto (tempera su tavola, cm 48,7 x 34,3. Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum, inv. AP 1986.05; Fig. 1) e La moglie di Asdrubale (tempera [?] su tavola, cm 47,1 x 30,6. Washington, D.C., National Gallery of Art, inv. 1965.7.1; Fig. 2), è senza dubbio identificabile con il “quadro di Lucretia romana dipinta su l’assa suttile ma schiappata [rotta] in due parti con cornice di noce”, menzionata nell’inventario della collezione del cardinale Alessandro d’Este a Roma e lasciata in eredità alla nipote Giulia nel 1624.1 Rientrata in tal modo nelle residenze estensi, è possibile che la Lucrezia non le abbia più lasciate.

Fig. 1, Ercole de’ Roberti, Porzia e Bruto, Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum
Fig.2, Ercole de’ Roberti, La moglie di Asdrubale, Washington, D.C., National Gallery of Art

È infatti probabile che sia il nostro il “quadro con Lucrezia romana cornice dorate e nere” che nel 1663 si trovava nella Camera della Cappellina nel Palazzo Ducale di Sassuolo.2 Un altro dipinto della serie, quello oggi a Fort Worth, presentava infatti una cornice simile quando si trovava nella collezione di Ferdinando Fantuzzi a Bologna nel 1600: “Una Portia di mano d’Hercole da Ferrara in un quadretto cornisato di noce, con filetti d’oro, et la sua assa, che la copre”.3 La serie era dunque stata dispersa già alla fine del Cinquecento e non può essere identificata con le “storie romane” di Ercole Grandi viste da Girolamo Baruffaldi al principio del Settecento nella residenza estense di Sassuolo.4

La provenienza da Sassuolo della sola Lucrezia sembrerebbe confermata dal fatto che l’opera non compare nell’inventario del 6 settembre 1797 dei quadri consegnati dal Palazzo Ducale di Modena all’Accademia di Belle Arti per costituirvi una Galleria Nazionale, pur rientrando fra quelli effettivamente esposti nel nuovo museo il 25 settembre dello stesso anno, come dimostrano anche i sigilli in ceralacca posti sul retro della tavola.5

Ricostruzione del complesso decorativo originario

Le dimensioni in tutto simili, il fatto di raffigurare eroine dell’antichità (per cui si veda sotto), la presenza di un’identica incorniciatura architettonica dipinta su tre lati e di un drappo steso sullo sfondo indicano che il dipinto della Galleria Estense era in origine parte di una serie che comprendeva le tavole raffiguranti Porzia e Bruto (Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum; Fig. 3) e La moglie di Asdrubale (Washington, D.C., National Gallery of Art; Fig. 4).

Fig. 3, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Visione del retro della tavola.
Fig. 4, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.

Non abbiamo notizia delle tavole prima dell’inizio del Seicento, quando l’insieme a cui appartenevano era già stato smembrato e la Porzia e la Lucrezia si trovavano in due diverse collezioni (si veda la sezione Provenienza). Le tre tavole sono state a lungo considerate parti di un cassone, tuttavia le fronti di forzieri dipinti degli ultimi vent’anni del Quattrocento erano solitamente costituite da un’unica tavola orizzontale di formato allungato e l’incorniciatura architettonica classicheggiante delle tre tavole male si adatterebbe alla parte anteriore tripartita di un cassone di gusto ancora gotico.

È dunque in seguito prevalsa l’opinione che esse fossero parte di spalliere o di arredi di un camerino. Ma le tre tavole hanno dimensioni troppo ridotte anche per essere pannelli di spalliere propriamente intese o parti della decorazione parietale di un camerino.6

L’ipotesi più probabile è che esse fossero elementi ornamentali di arredi come ante di mobili o cornici di porte o finestre. In questo senso, per le sue relazioni di natura iconografica e di committenza estense, è particolarmente significativo il confronto delle tavole in oggetto con le due coppie di figure femminili dipinte a monocromo da Mantegna, forse come decorazioni di uno dei camerini di Isabella d’Este a Mantova attorno al 1500-1506.7

Per influenza della disposizione ternaria delle immagini nelle fronti di cassoni e all’interno delle spalliere, le ipotesi finora tentate di ricostruzione dell’insieme originale delle tavole di Modena, Fort Worth e Washington hanno disposto i tre dipinti in un’unica sequenza orizzontale. Tuttavia, le tre tavole presentano una diversa angolazione prospettica dei piani di appoggio che sembra indicare una loro disposizione verticale a differenti altezze. Non è inoltre affatto certo che la serie ci sia giunta completa ed è dunque possibile che, come nel caso dei dipinti di Mantegna sopra citati, anche le tavole in esame fossero disposte a coppie. Il fatto che il lembo del drappo ricadente all’indietro sia visibile in scorcio talvolta da un lato e talvolta dall’altro permette di supporre che la Porzia e la Moglie di Asdrubale fossero collocate a sinistra e la Lucrezia a destra di tavole ora perdute. Inoltre, è possibile che esse fossero disposte in modo che il colore dei panni di sfondo creasse uno schema simmetrico.8

Va infine segnalato che la Porzia compare nell’inventario della collezione di Ferdinando Fantuzzi a Bologna nel 1600 dotata di una coperta lignea presumibilmente coeva, il che farebbe pensare a una serie di dipinti mobili, forse incorniciati a due a due in forma di dittici, una tipologia molto apprezzata alla corte estense fra Quattro e Cinquecento.9 Le dimensioni delle tre tavole coincidono con quelle di altre opere eseguite da Ercole de’ Roberti che oggi riteniamo “a sé stanti”, fra cui ritratti (Dittico Bentivoglio di Washington, 54 x 38/39 cm ciascuno; il doppio ritratto in collezione privata a Milano, 47 x 36 cm) e tavole devozionali (San Giovanni Battista di Berlino, 54 x 31 cm; Madonna col Bambino di Chicago, 54 x 36 cm, solo per citare quelle di dimensioni più simili).

Tecnica d’esecuzione e stato di conservazione

L’opera è realizzata su un’unica tavola in legno di latifoglia con taglio tangenziale e andamento delle fibre verticali. Sul verso si osservano tracce di lavorazione del legno. Il supporto risulta parzialmente imbarcato e presenta un’estesa fessurazione nel senso della fibratura del legno, lungo l’asse centrale. La rottura risulta essere stata risanata anticamente mediante l’incollaggio e la regolarizzazione con stucco sul verso (Fig. 5).

Fig. 5, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.

Il supporto potrebbe essere stato rifilato in una fase successiva alla sua realizzazione. Tuttavia, rispetto alle altre due tavole appartenenti alla stessa serie il dipinto modenese ha dimensioni maggiori e presenta certamente integre le modanature laterali della finta cornice, segno che la parte dipinta conserva sostanzialmente le dimensioni originali.10

La visione ravvicinata delle campiture conferma l’impiego di una tecnica mista dove gli incarnati sono costruiti per sovrapposizione e accostamento di sottili pennellate di colore. Si esclude che possa trattarsi, per tale motivo, di una pittura esclusivamente a olio.

Il dipinto presenta alcune velature cromatiche realizzate presumibilmente con lacche. Alcuni particolari delle vesti, come i polsini degli abiti o i dettagli delle armature in metallo, sono impreziositi con finiture dorate presumibilmente ottenute con oro in polvere (Fig. 6). Per far emergere i profili delle figure dal fondo scuro l’artista realizza tratti sottili chiari che contornano le capigliature e i profili dei volti (Fig. 7).

Fig. 6, Storie di Lucrezia, xilografia da Giovanni Boccaccio, De mulieribus claris, Ulm, Zainer, 1473.
Fig. 7, Eleonora d’Aragona, xilografia da Giacomo Filippo Foresti, De plurimis claris sceltisque mulieribus, Ferrara, Rossi, 1497.

Le linee della cornice dipinta sono impostate mediante sottili incisioni della preparazione. Simili incisioni si riscontrano in corrispondenza della cortina verde sullo sfondo ma non coincidono con le linee delle pieghe della stoffa attualmente visibili.11

ICONOGRAFIA

Soggetto e fonti letterarie della serie

Le tre tavole di cui il dipinto della Galleria Estense è parte raffigurano donne celebri dell’antichità. Lucrezia è raffigurata nell’atto di rivolgere al petto il pugnale dopo aver denunciato al marito Lucio Tarquinio Collatino e a Lucio Giunio Bruto la violenza che ha subito da Sesto Tarquinio, figlio del re di Roma Tarquinio il Superbo. Il suicidio della donna darà origine al moto di rivolta che porterà alla cacciata del tiranno e all’instaurazione della repubblica, di cui Bruto e Collatino sarebbero divenuti i primi consoli.

Nel dipinto di Fort Worth Porzia, venuta a conoscenza della congiura ordita dal marito Marco Giunio Bruto per assassinare Giulio Cesare, mostra al coniuge la ferita che si è inferta al piede come prova della propria capacità di sopportare il dolore nel caso fosse stato necessario. Dopo la sconfitta e la morte dei congiurati la donna avrebbe provato la sua fedeltà al marito suicidandosi ingoiando carboni ardenti. La moglie del generale cartaginese Asdrubale, raffigurata nel dipinto di Washington, si getta con i due figli tra le fiamme della città conquistata dai romani dopo aver rimproverato il marito di aver chiesta salva la vita solo per sé.

Tutte e tre le eroine sono menzionate nel Dictorum Factorumque Memorabilium di Valerio Massimo, un autore latino del I sec. d.C. che scrisse la sua opera con l’intento di fornire a retori e ad altri scrittori un repertorio di caratteri e comportamenti umani, sia positivi che negativi, da cui trarre insegnamenti morali. In epoca umanistica il volume di Valerio divenne una pratica silloge di fatti e aneddoti dell’antichità, tratti da testi in parte non più accessibili o difficilmente reperibili. Rispetto ad altre fonti di età classica, le narrazioni di Valerio corrispondono in modo piuttosto preciso ai soggetti raffigurati nelle tre tavole: l’episodio del ferimento di Porzia con il rasoio e il successivo discorso della donna al marito è posto in rilievo dedicandogli un paragrafo, distinto da quello del suicidio, che compare in un libro successivo; della moglie di Asdrubale è detto che si getta nel fuoco tenendo per mano i figli ancor vivi; di Lucrezia che si uccide dopo aver rivelato la violenza subita a pochi famigliari chiamati a raccolta, senza specificarne il numero. Valerio Massimo presenta Porzia e la moglie di Asdrubale come esempi di forza d’animo, mentre Lucrezia tiene il primo posto per pudicizia. Per la sua forma enciclopedica il volume di Valerio conobbe grande fortuna già nel basso medioevo ma la sua diffusione fu ancora maggiore dopo la prima pubblicazione a stampa a Magonza nel 1471.12

Il De mulieribus claris di Boccaccio e le fonti iconografiche da esso tratte

Considerati come quadri da cavalletto, i tre dipinti presentano iconografie piuttosto rare. Il suicidio di Lucrezia sarebbe divenuto un soggetto piuttosto comune nel Cinquecento, così come la scena dello stupro da parte di Tarquinio Sesto, tuttavia la tavola di Modena raffigura più precisamente la donna nell’atto di denunciare la violenza subita. Se il singolare e terribile suicidio di Porzia è di rado rappresentato, ancor più rara è la raffigurazione del dialogo fra Porzia e Bruto in seguito alla ferita volontariamente infertasi dall’eroina. La moglie di Asdrubale che si getta con i figli fra le fiamme sarebbe rimasto un soggetto tanto originale nelle arti figurative da rendere a lungo difficile la corretta interpretazione del dipinto, avvenuta solo al principio del Novecento.13

Le fonti iconografiche delle tre tavole possono essere tuttavia trovate nelle illustrazioni del De mulieribus claris (1361-1375) di Giovanni Boccaccio e nelle scene dipinte sui forzieri nuziali derivate dalla stessa fonte. Il trattato di Boccaccio conobbe grande fortuna fra le élite europee del Tre e Quattrocento, circolando prima in forma di lussuosi codici miniati, poi in edizioni illustrate a stampa seguite al primo incunabolo impresso nel 1473 a Ulma. Sul modello del De viribus illustris di Petrarca, il trattato di Boccaccio intendeva offrire al lettore un compendio di cento donne celebri dell’antichità, cui se ne aggiungono sei di epoca cristiana, procedendo in ordine cronologico da Eva alla contemporanea regina Giovanna di Napoli. Lucrezia vi compare come esempio di romana pudicizia e antica modestia, Porzia come modello di amore coniugale; manca invece la moglie di Asdrubale, che appare tuttavia in un’altra opera di Boccaccio, il De casibus virorum illustrium (1355-1373), in cui la storia della donna è narrata in relazione alla triste vicenda del generale cartaginese.14

Le immagini tratte dal testo di Boccaccio sono l’unico precedente figurativo della scena dell’atto di eroico autolesionismo compiuto da Porzia nel dipinto di Fort Worth. In modo ancora più stringente, la xilografia dell’edizione del 1473 del De mulieribus (Fig. 8) che raffigura Lucrezia nell’atto di pugnalarsi al petto davanti a due uomini, identificati come Collatino e Bruto da due scritte, costituisce il modello iconografico più vicino alla tavola di Modena.15

Fig. 8, Busto di Eleonora d’Aragona, particolare da Guido Mazzoni, Compianto su Cristo Morto, Ferrara, Chiesa del Gesù.

Altre fonti letterarie e loro interpretazioni moderne

Il De mulieribus claris e il Dictorum factorumque memorabilium di Valerio Massimo, al quale il trattato di Boccaccio ha largamente attinto, sono quindi servite come principali fonti letterarie per le tre tavole. Essi ci dicono quanto il pubblico colto dell’epoca – non necessariamente composto da letterati di professione – certamente conosceva delle tre eroine raffigurate. Tuttavia, altri testi noti alla corte estense di fine Quattrocento menzionano le tre donne, aiutandoci a comprendere le diverse sfumature di significato con cui queste immagini potevano essere intese dai loro contemporanei e dando origine a diverse ipotesi interpretative da parte della critica moderna.

Fra le fonti d’ispirazione per i tre dipinti è stato proposto il motto Malo mori quam foedari (“Meglio la morte che il disonore”) che il padre di Eleonora, Ferrante d’Aragona, re di Napoli, aveva associato all’emblema dell’Ermellino nell’impresa dell’omonimo ordine cavalleresco da lui fondato nel 1465 e di cui aveva insignito lo stesso Ercole I d’Este. L’ipotesi, avanzata da Ruth Wilkins Sullivan è stata rilanciata da Leah R. Clark che, in risposta all’obiezione che il motto si addicesse solo a due delle tavole ma non alla Porzia, ha sostenuto che i tre dipinti vanno intesi come una rappresentazione allegorica dell’intero sistema di valori associati all’ordine dell’Ermellino, imperniato sui concetti di decoro, giustizia e onore.16

Lucrezia, la cartaginese Sofonisba, Porzia e Veturia, madre di Coriolano, sono indicate come esempi di matrone famose per la loro constantia et forteza in un testo elaborato presso la corte estense attorno al 1487, il De laudibus mulierum di Bartolomeo Goggio. Il trattato, dedicato a Eleonora d’Aragona, è noto unicamente attraverso la copia manoscritta oggi conservata alla British Library, probabilmente la stessa registrata nella biblioteca personale della duchessa alla sua morte e l’unica mai esistita. L’opera di Goggio è stata definita da Werner Gundersheimer un testo protofemminista in quanto sostiene la superiorità delle donne sugli uomini, non solo dal punto di vista morale ma anche fisico, impegnandosi in una difesa dell’intero genere e non solo di individue eccezionali che travalicavano i limiti ritenuti innati del loro sesso, come era consueto nella letteratura precedente sull’argomento.17

Secondo Joseph Manca la lettura di questo passo avrebbe indotto la duchessa a commissionare al pittore di corte Ercole de’ Roberti la serie di tavole raffiguranti le tre eroiche matrone, secondo un progetto iconografico ideato dallo stesso Goggio. Come il testo, anche i dipinti intendevano dunque portare omaggio alla fermezza morale, alla forza d’animo e alla capacità d’azione di cui Eleonora aveva dato prova affiancando il marito nell’attività di governo. Le tre eroine che sopportano e anzi si infliggono volontariamente dolore, fino alla prova estrema del suicidio, sarebbero dunque una rappresentazione dei principi di stoicismo cristiano a cui la duchessa aveva ispirato la sua vita.18

Sulla base di una lettura piuttosto orientata delle fonti classiche anteriori alla silloge di Valerio Massimo, Creighton Gilbert ha proposto che i tre dipinti intendessero ammonire i mariti a comportarsi saggiamente presentando casi in cui le donne avevano dovuto rimediare con il suicidio alle azioni indegne o sconsiderate dei loro uomini: la moglie di Asdrubale è costretta al suicidio per dissociarsi dal comportamento pusillanime del marito, che implorando salva la vita solo per sé stesso aveva tradito la sua città e la sua famiglia; Porzia si era dovuta ferire per dimostrare la sua tempra a Bruto, che, secondo Plutarco, l’aveva tenuta all’oscuro della congiura contro Cesare. Anche lo stupro di Lucrezia da parte di Tarquinio Sesto e il conseguente suicidio riparatore della donna erano stati causati secondo Tito Livio e Ovidio dal comportamento leggero di Collatino che, dopo aver bevuto molto vino durante una cena sul campo assieme ad altri condottieri, si era vantato dell’onestà e fedeltà della moglie mostrandola a Tarquinio e accendendo così in lui il desiderio. Secondo Gilbert le espressioni caricate dei mariti nei dipinti raffiguranti Lucrezia e Porzia non esprimerebbero dolore ma rimorso.19

Va però osservato che la medesima espressione con gli angoli della bocca rivolti verso il basso compare sul volto della pia donna ai piedi di Cristo nel Compianto del Museo di Palazzo Venezia, probabile copia antica di un dipinto di Ercole de’ Roberti. Inoltre, Plutarco indica espressamente che Porzia si era ferita a una coscia e non a un piede e dunque non sembrerebbe essere la fonte del dipinto di Fort Worth. Infine, un tema così critico nei confronti del comportamento dei mariti avrebbe avuto poche possibilità di risultare gradito in una società rigidamente patriarcale, seppure confinato nelle sale private di una donna della famiglia regnante.

Importanza degli scritti di san Girolamo

L’unico altro testo, oltre a quello di Valerio Massimo, in cui sono menzionate tutte e tre le donne raffigurate nella serie di cui era parte la tavola estense è il trattato di san Girolamo Adversus Jovinianum (393 d.C.; App. 2). In esso Lucrezia è portata come più celebre esempio fra le matrone romane virtuose, fra le quali di seguito compare anche Porzia. Lucrezia e Porzia sono nominate di nuovo alla fine del primo libro in quanto la loro pudicizia le rese celebri almeno quanto i mariti. La moglie di Asdrubale figura invece fra le figure esemplari di vedove precristiane, in quanto preferì gettarsi con i due figli fra le fiamme della città piuttosto che cadere in mano ai romani. Nel trattato del padre della Chiesa la moglie di Asdrubale è associata alla mitica fondatrice di Cartagine, Didone, elogiata per aver preferito il fuoco della pira a un nuovo matrimonio con il re Jarba.20

Le due cartaginesi si ritrovano ricordate assieme alla romana Lucrezia in uno stesso passo di un altro testo scritto da san Girolamo per sostenere le ragioni della castità e della monogamia dopo la vedovanza, la lettera a Geruchia (409 d.C.): “Basta un breve accenno per la regina di Cartagine che preferì bruciare sul rogo piuttosto che diventare moglie del re Jarba; per la sposa di Asdrubale che, tenendo per mano i suoi due figli si buttò dall’alto sul rogo della città in fiamme per non venir intaccata nel suo pudore; e infine per Lucrezia la quale, una volta perso l’onore della castità, decise di non sopravvivere con quella macchia sulla coscienza”.21

È dunque possibile, seppure al momento indimostrabile, che fra le tavole disperse della serie ve ne fosse una raffigurante Didone, anch’essa morta per difendere la sua castità di vedova, che avrebbe potuto formare con la Moglie di Asdrubale una coppia di donne cartaginesi su fondo rosso. Mentre Dante nella Divina commedia pone Didone all’inferno fra i lussuriosi per aver ceduto alla passione per Enea, Boccaccio nel De mulieribus presenta la regina di Cartagine come vedova fedele al marito. In modo ancor più significativo, lo stesso Boccaccio, nel De Casibus Virorum Illustrium (V.16, 4-6), associa come esempi di virtù Didone e la moglie di Asdrubale, notando come la prima avesse fondato Cartagine e la seconda avesse preferito perire assieme alla città.22

Diverse versioni delle Epistole del santo, manoscritte e a stampa, in latino e in volgare, si trovavano nella biblioteca estense a fine Quattrocento e in quella personale della duchessa Eleonora d’Aragona. Un’edizione delle lettere del santo tradotte in volgare fu pubblicata a Ferrara nel 1497: alcuni esemplari portano una dedica a Ercole I d’Este e altri a Eleonora d’Aragona e a sua figlia Isabella d’Este. Le epistole sono precedute dalla vita del santo e seguite dalle regole, tratte dalle opere di Girolamo, da osservare nel culto della vera religione, scritte a uso dei monasteri femminili temporali e spirituali. È evidente la destinazione a un pubblico femminile di questa traduzione dal latino delle lettere, che a donne erano del resto in buona parte indirizzate.23

Eleonora d’Aragona come Lucrezia

Che gli scritti di san Girolamo in elogio della castità siano fra le fonti più importanti per il ciclo sembrerebbe confermato dal fatto che la probabile committente, Eleonora d’Aragona, abbia voluto farsi ritrarre nelle vesti dell’eroina dell’antichità che più di tutte impersonifica questa virtù. Mentre i volti delle altre due donne corrispondono infatti a tipi di bellezza astratta, quello di Lucrezia è fortemente caratterizzato e certamente non avvenente, corrispondente alla descrizione che Hondedio di Vitale dà della duchessa al suo arrivo a Ferrara: “de statura bassa e picola, grassa e grosa, lo volto largo, lo colo curto, più bruna che biancha, la bocha bicola, lo ochio negro e picolo, non molto ponposa del vestire: havea lo naxo picolo, uno puocho rivolto in suxo”. Usava vestire alla napoletana e tenere “li chapili zoxo per le spale”, come conferma un altro cronista dell’epoca, Ugo Caleffini, che la descrive durante i festeggiamenti del matrimonio nel 1473: “Balando madona sua Signoria havea li capelli nigri secundo che se usa a Napoli zoxo per le spale et la corona in testa a modo de regina”.24

Altrettanto corrispondente è il confronto fra il volto della Lucrezia e i ritratti certi della duchessa come il busto di Eleonora in Giacomo Filippo Foresti, De plurimis claris sceltisque mulieribus (1497; Fig. 9) o la Maria di Cleofa del Compianto di Guido Mazzoni nella Chiesa del Gesù a Ferrara (ca. 1483-1485; Fig. 10). Il maggior naturalismo rilevato dalla critica nella figura della Lucrezia dipende proprio dalla sua natura di ritratto.25

Rispetto alle altre due figure, abbigliate “all’antica”, la Lucrezia indossa inoltre un abito riconducibile alla fine del Quattrocento. L’acconciatura è costituita da un nastro su cui sono applicate delle perle e che solca il colmo del capo mentre la fronte è percorsa da un nastro, detto lenza, anch’esso decorato di perle. Questa acconciatura spagnoleggiante si diffonde in Italia settentrionale attorno al 1489 grazie a Beatrice d’Este e alla cugina Isabella d’Aragona, che la importarono da Napoli. La foggia dell’abito con le maniche strettissime e la scollatura a rettangolo smusssato permette una datazione agli anni novanta del Quattrocento, mentre la predominanza di colori scuri e le allistature rosse e nere riconducono alla moda spagnola di fine secolo.26

La “Querelle des femmes” alla corte estense alla fine del Quattrocento e i primi cicli di donne illustri

La Lucrezia e le altre tavole del complesso decorativo di cui era parte vanno dunque interpretate nel contesto politico e culturale della corte ferrarese. Che Eleonora d’Aragona ne sia stata la committente o solo la destinataria, il ciclo pittorico e gli scritti a essa dedicati sono il portato della sua presenza a corte. Figlia di re, come altre donne di stirpe aristocratica del Quattrocento era stata educata per condividere il potere col futuro consorte e di fatto resse il ducato estense dal 1473 al 1493, affiancando il marito e sostituendolo nel governo anche amministrativo e militare della città durante le frequenti assenze di quest’ultimo. Essendo dotata di una ingente capacità di spesa autonoma, Eleonora diede impulso alla creazione di opere letterarie e artistiche che mettevano in discussione gli stereotipi di genere aprendo un dibattito sulla natura e il ruolo della donna nella società. Questa querelle des femmes fu particolarmente viva presso le corti di Ferrara e Mantova nell’ultimo ventennio del Quattrocento, dove alcuni umanisti dell’ambito di Eleonora d’Aragona e di sua figlia Isabella d’Este elaborarono i primi trattati che confutavano le teorie sull’inferiorità fisica e morale del genere femminile basate sull’autorità dei testi di Aristotele e dei Padri della Chiesa.27

Si può in questo senso estendere alla raffigurazione di Lucrezia nella tavola dell’Estense quanto osservato da Virginia Cox riguardo alla Porzia del Kimbell Art Museum: che esse rappresentino in modo innovativo figure femminili parlanti (Lucrezia ha appena terminato il suo discorso e sta passando all’azione) che occupano una posizione preminente nel dipinto e sono ascoltate con attenzione e partecipazione emotiva da uomini. Simili raffigurazioni sono prova del riconoscimento da parte di alcune società signorili della seconda metà del Quattrocento delle capacità oratorie (e dunque politiche) delle donne coinvolte nella gestione del potere e della caduta dei tabù morali che ritenevano sconveniente per una donna parlare in pubblico.28

La raffigurazione di Lucrezia e delle altre due donne della serie come soggetti agenti in un contesto politico va inquadrata in questo contesto culturale che nella seconda metà del Quattrocento vede la nascita e la diffusione di cicli figurativi che rappresentano figure femminili non più come immagini simboliche di virtù astratte ma come personaggi storici che impersonificano virtù fino ad allora considerate esclusivamente maschili, come l’eroismo patriottico e la capacità di comando anche militare.29

Nello stesso tempo Eleonora fu profondamente religiosa: la sua biblioteca conteneva quasi esclusivamente scritti di argomento sacro, commissionò opere improntate a una fervida devozione e si fece seppellire senza onori nella nuda terra in abito di terziaria francescana. Come tutte le donne sposate della sua epoca, conformò il suo comportamento e la sua immagine pubblica agli ideali di castità e pudicizia imprescindibili per una dama del suo stato. In questo senso la sua raffigurazione nelle vesti di Lucrezia rappresenta una sintesi delle antiche virtù civili romane e di quelle morali cristiane.30

Attribuzione e datazione

Attribuita a Ercole de’ Roberti da Cavalcaselle (Cavalcaselle, Crowe 1871), la Lucrezia è sempre stata messa in relazione alla tarda attività dell’artista, successiva al suo ritorno a Ferrara nel 1486. Le tre tavole della serie sarebbero dunque fra le poche opere conservatesi dell’attività svolta da Ercole come pittore della corte estense. Si è supposto che esse fossero parte dei cassoni e degli altri apparati nuziali realizzati da Ercole de’ Roberti e collaboratori nel 1489-1491 per le nozze di Isabella e Beatrice d’Este o per la prima moglie di Alfonso, Anna Sforza, ma più probabilmente, considerata l’antica presenza della Lucrezia nelle collezioni estensi, esse furono eseguite per l’appartamento di Eleonora d’Aragona in Castel Vecchio, portato a termine fra il 1489 e il 1493.31

La critica ha ravvisato nella tavola di Modena una mano più debole di quella che ha realizzato le due altre tavole note della serie. Adolfo Venturi, mutando parere nel 1914 rispetto a precedenti interventi (1882, 1889, 1908) declassava la Lucrezia a opera di un aiutante di bottega, mentre riteneva la Porzia e la Moglie di Asdrubale di mano di Giovan Francesco Maineri. Per Roberto Longhi (1934) il dipinto di Modena era “non affatto spregevole […], di fattura certamente sottile, ma disanimata, slentata, senza lo scatto di Ercole; probabilmente una copia contemporanea da un originale perduto, ad accompagno dei due dipinti della raccolta Cook”, che lo studioso reputava opere della maturità di de’ Roberti stesso.

Una diretta responsabilità di Ercole nell’esecuzione dell’intera serie è stata più recentemente sostenuta dalla critica anglosassone con gli interventi di Luke Syson (1999), Creighton Gilbert (2000) e, seppure con riserve relative proprio al dipinto di Modena, Joseph Manca (1992, 2003). L’attribuzione a Maineri dell’intera serie e in particolare della Lucrezia aveva precedentemente trovato favore presso la critica italiana a seguito della scheda di Rodolfo Pallucchini nel catalogo generale dei dipinti della Galleria Estense (1945) e della monografia di Silla Zamboni sui pittori di Ercole I (1975). Monica Molteni (1995) ritiene che l’intera serie sia stata eseguita dalla bottega, probabilmente da Maineri, su disegno di Ercole, ravvisando somiglianze fra la figura di Lucrezia e la Madonna dell’Art Institute di Chicago (probabile opera di bottega) e fra i due personaggi maschili e quelli della predella del polittico Griffoni oggi a Dresda, opera certa di de’ Roberti.

Più che su confronti formali con altre opere dell’artista l’attribuzione del dipinto dell’Estense a Maineri è stata sempre fondata sulla constatazione di una minore qualità d’esecuzione rispetto alle raffinatissime opere tarde di Ercole e sulla documentata presenza di Maineri a corte e al servizio di Eleonora d’Aragona, fra il 1489 e il 1493. Il percorso giovanile di Maineri che era stato delineato da Longhi e da Zamboni è stato inoltre recentemente sottoposto a una radicale revisione che ha portato all’assegnazione ad altri artisti di opere fino allora ritenute parte della sua produzione giovanile. Risulta dunque oggi difficile individuare la fisionomia stilistica dell’artista a monte di dipinti concordemente riconosciutigli come la Madonna col Bambino firmata dell’Accademia Albertina di Torino, la Flagellazione già Cook e la Sacra Famiglia Testa, la cui datazione si approssima al 1500.32

Come indicato nelle osservazioni tecniche, le linee delle pieghe del panno steso sullo sfondo del dipinto di Modena non coincidono con quelle preparatorie incise sulla tavola. Le pieghe dipinte dividono il panno in rettangoli di dimensioni maggiori rispetto a quelli incisi sul supporto, che hanno dimensioni analoghe (ca. 9 x 8 cm) a quelle riscontrabili nella Porzia del Kimbell Art Museum. Rispetto a quest’ultima, le figure della Lucrezia sono inoltre leggermente più piccole (altezza 37-39 cm anziché 41/42), forse perché più numerose. L’assenza di linee incise nel dipinto di Washington, se non per quanto riguarda la riquadratura architettonica, indica che i disegni preparatori sono stati trasposti con procedimenti diversi nelle tre tavole. In tutto simili nei tre dipinti sono invece le dimensioni del perimetro interno della finta cornice (ca. 47 x 29 cm).33

Confrontata con le stesure dei drappi alle spalle della Porzia e della Moglie di Asdrubale di Washington, quella della Lucrezia appare sorda e piatta e le pieghe non hanno l’aspetto di increspature tridimensionali rese con sottili pennellate ma sono tracciate sommariamente con un pigmento scuro. Ciò fa pensare che la Lucrezia sia stata ideata assieme alle altre due tavole della serie ma abbia avuto una diversa vicenda esecutiva. Sembra di poter dunque confermare un’ideazione generale del dipinto da parte di de’ Roberti, mentre un suo intervento diretto può essere forse individuato unicamente nelle due figure maschili. La partecipazione di Maineri all’esecuzione del dipinto, per quanto probabile, rimane puramente ipotetica.

STORIA CONSERVATIVA

Restauri documentati

1960

Augusto Dall’Aglio

1999

Marta Galvan

Il cattivo stato di conservazione del dipinto, sfigurato da restauri soprattutto nei volti e nella figura di Lucrezia è segnalato da Cavalcaselle, Crowe (1871), Gardner (1911), Frizzoni (1914) e Pallucchini (1945). L’evidente ridipintura dei visi e dei brani di paesaggio è documentata ancora dal testo e dalla fotografia dell’opera nella guida di Salvini (1955). Nel 1960 il restauro eseguito da Augusto Dall’Aglio ha rimediato al forte annerimento, in particolare dello sfondo, con una leggera pulitura e una ripresa a tono delle piccole lacune (Ghidiglia Quintavalle, Quintavalle 1961), restituendo così una migliore leggibilità all’opera e facendo nuovamente emergere “alcune finezze pittoriche nell’accenno paesistico e nelle figure” (Salmi 1960). L’opera è stata nuovamente restaurata da Marta Galvan nel 1999 (documentazione fotografica conservata presso l’Archivio restauri della Galleria Estense).

ALTRE SEZIONI

Cornice e fortuna museale

Le fotografie più antiche presentano il dipinto entro una cornice lignea probabilmente ottocentesca, in seguito sostituita da un’incorniciatura moderna disegnata dall’architetto Leone Pancaldi in occasione del riallestimento del museo terminato nel 1975. Nel 2015 quest’ultima è stata a sua volta rimossa e sostituita, al termine dei lavori di consolidamento dell’edificio e riordino della Galleria resi necessari dal sisma di tre anni prima, da un pannello di legno dipinto nel quale l’antica tavola è incastonata.

Il dipinto era esposto all’apertura della Galleria Estense al pubblico nel 1854 come opera di Mantegna. Ritenendo che si trattasse di un triplice ritratto di Isabella, Ercole I e Alfonso I d’Este, Adolfo Venturi (1882) gli ha dedicato particolare attenzione nel suo studio sulla storia delle collezioni della Galleria, dove è riprodotto in incisione nel capitolo su “I resti delle collezioni ferraresi” come opera di Ercole Roberti Grandi. Esibita alle importanti mostre di Londra (1930) e Ferrara (1933) e menzionata nelle guide del museo dal 1925 al 1967, la tavola è sempre stata esposta, seppure con un giudizio via via più limitativo, in particolare dopo il catalogo generale di Pallucchini del 1945 e la sua attribuzione a Maineri. Ritenuta opera di scuola, non compare fra le opere scelte illustrate nei volumi sulla Galleria Estense di Ghidiglia Quintavalle (1959) e di Bonsanti (1977), né è menzionata nelle guide illustrate di Bentini (1987) e Bernardini (2006), per ricomparire in quella a cura di Casciu (2015), segno della recente rivalutazione del dipinto e della serie a cui appartiene.

Mostre

Rinascimento a Ferrara. Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa, Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 18 febbraio - 19 giugno 2023

Orlando Furioso: 500 anni, Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 24 settembre 2016 - 8 gennaio 2017

Splendori delle corti italiane: gli Este. Rinascimento e Barocco a Ferrara e Modena, Venaria Reale, Reggia di Venaria, 8 marzo - 6 luglio 2014

Une Renaissance singulière. La cour des Este à Ferrare, 3 ottobre 2003 - 11 gennaio 2004, Bruxelles, Palais des Beaux-Arts

Ercole de’ Roberti: Renaissance in Ferrara, 27 aprile - 11 luglio 1999, Los Angeles, J.P. Getty Museum

Sovrane Passioni. Le raccolte d’arte della Ducale Galleria Estense, Modena, Galleria Estense, 3 ottobre - 13 dicembre 1998

Unbekannte Schönheit, Zurigo, Kunsthaus, 9 giugno - 5 agosto 1956

La moda in cinque secoli di pittura, Torino, Palazzo Madama, 28 aprile - 8 luglio 1951

Esposizione della pittura ferrarese del Rinascimento, Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 7 maggio 1933 – 1° luglio 1934

Exhibition of Italian Art 1200 - 1900, Londra, Royal Academy of Arts, 1° gennaio – 20 marzo 1930

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  1. Campori 1870, p. 72. ↩︎

  2. Inventario della robba che si ritrova nel Pallazzo di Sassollo, 1663, in Arredi, suppellettili 1993, p. 90; Menegatti in Orlando furioso 2016. ↩︎

  3. Inventario dell’eredità di Ferdinando Fantuzzi, Bologna, 6 luglio 1600, in Chiodini 2013, p. 39. ↩︎

  4. Baruffaldi ed. 1844-46, I, p. 140. ↩︎

  5. Venturi 1882, p. 402: “19. Una Donna che si uccide in presenza di due Uomini. Incerto ma antico. (Piccolo per l’impiedi)”. La corrispondenza fra la descrizione inventariale e la Lucrezia non è finora stata notata. ↩︎

  6. Per rimanere in ambito estense, le Muse dipinte fra il 1449 e il 1463 per lo studiolo di Belfiore, complete delle tabelle sottostanti che ancora si vedono nella Talia del Museo di Budapest, misuravano almeno 137 x 82 cm. Un raro caso di spalliera ancora integra è quella dipinta da Guidoccio Cozzarelli (doc. 1450-1516/1517) in collezione Chigi Zondadari a Siena, che raffigurando le tre eroine antiche Ippo, Camilla e Lucrezia costituisce anche un possibile precedente iconografico: completa della cornice lignea con le iscrizioni essa misura 128 x 226 cm (Agosti, Farinella 1990, pp. 585, 586, fig. 11 p. 588). Sulle spalliere, in particolare fiorentine: Barriault 1994. Per una distinzione terminologica fra dipinti per cassoni, spalliere e quelli che Schubring (1915, ed. 1925) chiamava Cornicebilder o Einsatzbilder (dipinti inseriti come elementi ornamentali nelle incorniciature delle pareti o negli arredi di un ambiente domestico): Bartoli 1999, pp. 145-146; Vinco 2018, pp. 19-21. ↩︎

  7. Si tratta della Tuccia e della Sofonisba (Londra, National Gallery, cm 72 x 23) e della Giuditta e della Didone (Montreal, Museum of Fine Arts, 65 x 31 cm; esse compaiono negli inventari Gonzaga piuttosto tardi e la loro collocazione originale non è certa mentre è molto probabile che facessero parte di un unico insieme. Un’altra coppia di dipinti di simili dimensioni (48 x 37 cm) raffiguranti scene bibliche in cui appaiono due donne come protagoniste (l’una positiva e l’altra negativa) è costituita dalla Giuditta e Oloferne e dal Sansone e Dalila delle gallerie nazionali di Dublino e Londra, databili attorno al 1495-1500 (K. Christiansen, in Andrea Mantegna 1992, pp. 394-398, 402-404 n. 129, 410-413 nn. 133-134; M. Lucco in Mantegna a Mantova 2006, pp. 90-91 n. 12, 106-109 nn. 17-20). Secondo Luke (in Allen, Syson 1999, p. xxxiii) Mantegna si è ispirato alle nostre tre tavole, dipinte da Ercole de’ Roberti per un camerino di Eleonora d’Aragona, madre di Isabella d’Este. ↩︎

  8. Sulla funzione originaria delle tavole e per ipotesi di ricostruzione dell’insieme: Manca 1992, p. 134; Wilkins Sullivan 1994, pp. 622-624; L. Syson, in Allen, Syson 1999, pp. xxxii-xxxiii; Gilbert 2002, p. 191, fig. p. 204. ↩︎

  9. Clark 2018, pp. 124-128. ↩︎

  10. La tavola di Modena è alta quanto quella di Fort Worth, di cui è 12 mm più larga. Rispetto alla tavola di Washington è 16 mm più alta e 48 mm più larga. ↩︎

  11. Le informazioni fornite in questa sezione sono tratte dalla scheda conservativa redatta da V. Ponza e A. Gatti (Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale, 2023). ↩︎

  12. Valerio Massimo, Dictorum Factorumque Memorabilium: III.2.15 (Porzia); III.2.ext. 8 (moglie di Asdrubale); VI.1.1 (Lucrezia). I testi sono trascritti in App. 1. Nel 1495 nella biblioteca estense erano presenti quattro copie del libro di Valerio Massimo, sia in volgare che il latino, manoscritte e a stampa (Bertoni 1903, p. 252 nn. 491-494). Sulla fortuna del libro nel primo Rinascimento: Gilbert 2002, p. 197 nota 3. Altre possibili fonti classiche note all’epoca e presso la corte estense sono: per Lucrezia: Tito Livio, Ab Urbe condita, I:58, Ovidio, Fasti, II:813-832; per Porzia: Plutarco, Vita di Bruto, 13.3-11; per la moglie di Asdrubale: Tito Livio, Ab Urbe condita, Periochae, LI.5 e altri autori tardoantichi e medievali (per cui si veda Gilbert 2002, pp. 185-186; Passalacqua 2006-2007, pp. 58-60). ↩︎

  13. Per una sintesi sull’iconografia e le fonti letterarie delle tre tavole si veda Gilbert 2002, pp. 185-192. ↩︎

  14. Giovanni Boccaccio, De mulieribus claris, XLVIII.6-8 (Lucrezia); LXXXII.6-8 (Porzia) (Boccaccio, ed. 1965, pp. 196-197, 326-329). Giovanni Boccaccio, De Casibus Virorum Illustrium, V.16,2-3; (Boccaccio, ed. 1983, pp. 442-445). Trascrivere testi latini e italiani in appendice? Sulla natura e la fortuna del De Mulieribus: Franklin 2006; sulle sue edizioni illustrate: Boccaccio visualizzato 1999, II, pp. 267-270 (n.111) 274, 278-283 (nn. 115, 117), 346-348, 359 (nn. 143, 149); III, pp. 11-13, 32-66 (nn. 7-19), 291-297. ↩︎

  15. Franklin 2006, p. 142. Una somiglianza ancora maggiore al dipinto della Galleria Estense presenta il pannello centrale di un cassone fiorentino di primo Quattrocento raffigurante il suicidio di Lucrezia ambientato in una stanza che ricorda una scena teatrale, avendo a sinistra due uomini, di cui uno di spalle, e una donna che la sorregge da dietro (riprodotto in Schubring 1915 (ed. 1923), tav. COMPLETARE fig. 21). Sulla raffigurazione di Lucrezia e Porzia in miniature e cassoni: Schubring 1915 (ed. 1923), ad indicem; Gilbert 2002, pp. 189-191. In particolare sull’iconografia di Lucrezia fra Quattro e Cinquecento: Stechow 1951; Miziolek 1996, pp. 25-44; Baskins 1998, pp. 128-159; Passalacqua 2004; Franklin 2006, pp. 136-139; Scalini 2016. ↩︎

  16. Wilkins Sullivan 1994; Clark 2018, pp. 198-206. Clark propone inoltre per le tre opere una lettura “intertestuale” che non si limita a una sola fonte ma invita chi guarda a combinare fonti scritte e figurative per interpretare il significato delle tre immagini. Concorda con Wilkins anche L. Syson, in Allen, Syson 1999, p. xxxiii. ↩︎

  17. Goggio ca. 1487, c. 15v: il passo si trova al principio del Capitolo 7 del I libro (si riporta qui la recente edizione critica di Harwood-Ventura 2023, p. 130): “Capitulo septimo, nel quale se dimostra la constantia et forteza d’animo dele done in comparatione agl’homini. / Io era disposto parlar d’altro per venire al fine del opera mia, se non fusse la insolentia de multi quali tuto el zorno (pur che sapiano) parlano ad vituperio dele done cum dire che sono più volubile che foglia. Ma per non comportargli questa inzuria, havendo dicto dela constantia et virtù di più sazi, più famosi homini del mondo, parlar voglio non dela constantia et forteza de quelle matrone la fama dele quale abracia tuto el mondo (como fu Lucretia, Sofonisba, Portia, Vetruria et l’altre che tuto el mondo honora), ma dela forteza et constantia dele fanzule in resistere ad quello in che tuti li più famosi et excelenti sono cascati (et che dovevano dare exempio ad tuto el mondo)”. Sul trattato di Goggio si vedano i primi studi di Fahy 1956, pp. 32-36 e Gundersheimer 1980a e la bibliografia menzionata in nota 27. Sulla presenza del testo nella biblioteca di Eleonora: Bertoni 1903, pp. 163-164. ↩︎

  18. Manca 2000; Manca 2003a, pp. 90-93. Lucrezia e Porzia sono tuttavia menzionate esclusivamente nel passo sopra citato mentre la moglie di Asdrubale non compare nel trattato, che invece si sofferma lungamente su altre figure femminili. Non vi è inoltre prova che Sofonisba e Veturia fossero raffigurate in altre tavole, oggi perdute, della serie. Certamente però il progetto di Goggio di reinterpretare le biografie delle donne dell’antichità menzionate da Boccaccio per ricondurle entro una linea di continuità culturale tra passato pagano e presente cristiano (Kolsky 2005, pp. 182-185) non poteva non compiacere la duchessa. ↩︎

  19. Gilbert 2002, pp. 192-195. Le fonti per la storia di Lucrezia sono: Tito Livio, Ab Urbe condita, I.56-60; Ovidio, Fasti, II.813-832. ↩︎

  20. Hieronymus, Adversus Jovinianum, I.43 e I.46 (App. 2). Il trattato polemico di Girolamo contro l’eretico Gioviniano era ben noto nel Quattrocento e venne incluso in alcune edizioni delle epistole del santo, come quella stampata a Venezia da Giovanni Rossi nel 1496. ↩︎

  21. Hieronymus, Epistulae, 123.7 (San Girolamo, ed. 1997, vol. IV, p. 232). L’ipotesi che i testi di san Girolamo abbiano costituito una fonte per le tre tavole è stata avanzata da Virginia Cox accogliendo un suggerimento di Susan Haskins. In riferimento alla moglie di Asdrubale, la studiosa fa notare come nel testo del padre della Chiesa scompaia qualsiasi accenno alla fellonia del generale cartaginese, che sarebbe stato inappropriato in un ciclo commissionato dalla moglie di un condottiero posto a capo di uno Stato (Cox 2009, in part. sugli scritti di san Girolamo pp. 64-66. Si sofferma sull’importanza degli scritti e del culto del santo anche Clark 2018, pp. 136-137, 154-155, 203). ↩︎

  22. Boccaccio, De Casibus, V.16, 4-6. ↩︎

  23. Epistole de San Hieronymo vulgare, Ferrara, Lorenzo Rossi, 1497 (il passo menzionato è in ep. LXV c. CXLIIIIv). Del volume esistono quattro varianti: senza dedica, con dedica a Ercole I d’Este datata 1494, con dedica (postuma) a Eleonora d’Aragona e Isabella d’Este (1495), con dedica al doge di Venezia Agostino Barbarigo (1495). Il volume è considerato uno dei migliori esemplari di libro illustrato prodotto in Italia nel Quattrocento, assieme al De plurimis claris sceletisque mulieribus di Giacomo Filippo Foresti, edito dallo stesso Lorenzo Rossi nel medesimo anno, dove compare una biografia di Eleonora d’Aragona (cc. CLXIv-CLXIIIr). Entrambi i volumi riutilizzano xilografie datate 1493. Sulla presenza di scritti di san Girolamo nelle biblioteche di Eleonora e Ercole I: Bertoni 1903, pp. 231-232 nn. 32, 37, 49; pp. 238, 240-241, 246-248 nn. 77, 146-148, 165, 166, 308, 342, 372; sulla natura eminentemente religiosa della biblioteca della duchessa e sulla sua attività di committente di volumi di soggetto sacro Guerra 2015. Sulla fortuna di san Girolamo nel Rinascimento: Rice 1985, in particolare sulla diffusione delle epistole presso le donne istruite, pp. 96-97. Sul nesso fra la fioritura di testi di devozione in volgare ispirati alla devotio moderna specificamente destinati a donne e sul contemporaneo emergere di un élite culturale femminile nelle corti italiane alla fine del Quattrocento: Zarri 1990, pp. 28-33. ↩︎

  24. Hondedio di Vitale, Cronica, c. 18v, cit. in Folin 2022, p. 85. Caleffini 1471-1494 (ed. 2006), p. 52. ↩︎

  25. L. Syson, in Allen, Syson 1999, p. xiii. Nonostante la critica più recente, soprattutto dopo l’articolo di Manca del 2000, dia per scontato che le tre tavole siano state commissionate da Eleonora d’Aragona, l’ipotesi che nel dipinto di Modena si celi un ritratto della duchessa è stata sostenuta solo recentemente da M. Toffanello, in Rinascimento a Ferrara 2023, p. 261. In precedenza Wilkins Sullivan (1994, p. 615) aveva osservato che “Lucretia’s youthful, full cheeks appear as a prettified version of Eleonora of Aragon’s prominent jowls; Lucretia is probably to be read less as an idealized portrait than as the artist’s tribute to his patron as a model of chastity to be emulated”. Secondo Venturi (1882, p. 34) tutte e tre le figure “presentano tratti fisionomici così caratteristici e singolari, da non lasciar dubbio ch’essi siano ritratti presi dal vero: e vuolsi che che in Lucrezia sia ritratta la celebre marchesana Isabella d’Este; in Bruto, Ercole I; e in Collatino, Alfonso I”. ↩︎

  26. Si sono tratte queste informazioni sull’abito e l’acconciatura dalle assai più dettagliate annotazioni vestimentarie redatte da Elisabetta Gnignera su richiesta di chi scrive nell’agosto del 2014. Già Schubring (1915, ed. 1923, p. 353) aveva notato che nel dipinto di Modena la matrona romana vestiva come una nobildonna ferrarese del Quattrocento. ↩︎

  27. Oltre al trattato di Goggio (ca. 1487) e a quello di Foresti (1497), dedicato a Beatrice d’Aragona, sorella di Eleonora e regina d’Ungheria, vanno ricordati: Sabadino degli Arienti, Gynevera de le clare donne (1489-1490 e 1492), in onore di Ginevra Sforza, moglie di Giovanni II Bentivoglio, raffigurata nel dittico di Ercole de’ Roberti a Washington; Agostino Strozzi, Defensio mulierum (ca. 1501); Mario Equicola, De mulieribus (1501), entrambi dedicati a Margherita Cantelma, dama di Isabella d’Este. Sulla Querelle des femmes di fine Quattrocento, in particolare presso le corti di Ferrara e Mantova: Benson 1992, pp. 33-36, 45-64; Kolsky 2005, pp. 111-190; Franklin 2006, pp. 118-148; Cox 2008, pp. 17-28; Plastina 2017, pp. 76-80, 103-112; Harwood-Ventura 2023, pp. 13-37. A uso di Eleonora d’Aragona furono scritti due trattati sul governo: Diomede Carafa, I doveri del principe (ca. 1473-76) e Antonio Cornazzano, De modo regendi (ca. 1477-1478). Sull’opera di governo della principessa aragonese: Chiappini 1956, pp. 38-39, 45-58, 77-89; Gundersheimer 1980b, pp. 51-55; Prisco 2022, in part. pp. 81-209. La forza d’animo di Eleonora risultò determinante per la salvezza del ducato estense in almeno due occasioni: durante il tentato colpo di Stato da parte di Nicolò di Leonello nel 1476, quando mise in salvo il primogenito maschio Alfonso ancora in fasce, e durante l’assedio della città da parte dell’esercito veneziano nel 1483, quando rincuorò ed esortò alla resistenza i cittadini ferraresi con un commuovente discorso. ↩︎

  28. Cox 2009, in part. pp. 71-95. ↩︎

  29. In mancanza di uno studio generale sui cicli pittorici raffiguranti donne illustri nel Quattrocento si può fare riferimento al caso senese, dove tra fine Quattrocento e inizio del secolo successivo le figure femminili acquistano particolare rilievo all’interno dei cicli dedicati agli uomini illustri, fino a dare vita a serie autonome, per cui si vedano la spalliera di Guidoccio Cozzarelli menzionata in nota 6, il ciclo eroico dipinto per i Piccolomini da Francesco di Giorgio Martini, dal Maestro di Griselda e altri disperso fra vari musei (ca. 1491-1492), le tavole di Girolamo di Benvenuto raffiguranti Cleopatra, Porzia e Tuccia (ca. 1500-1510) e le tre eroine Chigi Saracini, Giuditta, Artemisia e Cleopatra (ca. 1510-1515) (Caciorgna, Guerrini 2003, pp. 395-396, 398). Tuttavia, tali cicli assumono significati diversi in una repubblica come quella di Siena o in una signoria come quella estense. Per un inquadramento generale sui primi cicli di uomini illustri: Donato 1985. ↩︎

  30. Sulla religiosità della duchessa insiste particolarmente uno studioso di formazione cattolica come Chiappini nella sua monografia del 1956 (ma si veda anche Gundersheimer 1980b). Questo aspetto della sua personalità, così importante per quanto riguarda il suo mecenatismo artistico (Clark 2018, pp. 112-157), è invece lasciato in ombra nei più recenti studi storici. Eleonora è elogiata per la sua pudicizia nella vita dedicatale da Giacomo Filippo Foresti (1497, c. CLXIIr). ↩︎

  31. Sull’appartamento fatto allestire da Eleonora nel Castello Estense: Folin 2022, pp. 89-93. Per una sintesi e un regesto dei documenti: Toffanello 2010, pp. 273, 275-276. Nessun documento può tuttavia essere riferito alle tre tavole o ad arredi di cui possano aver fatto parte. ↩︎

  32. Su Maineri: Venturi 1914, pp. 1104-1120; Longhi 1934 (ed. 1956), pp. 152-154; Zamboni 1975, pp. 10-24, 39-61; Allan Brown 1988-1989, pp. 299-308; Bacchi 1990, pp. 38-40; Bauer-Eberhardt 1991; Lippinkott 1991; Veratelli 2006. Sulla recente revisione del catalogo giovanile dell’artista: Bacchi, De Marchi 1995; Bauer-Eberhardt 1999; De Marchi 2019. ↩︎

  33. Ringrazio Sue Ann Chui, restauratrice della National Gallery, per avermi confermato l’assenza di incisioni nel dipinto a Washington. ↩︎

Fig. 1, Ercole de’ Roberti, Porzia e Bruto, Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum
Fig.2, Ercole de’ Roberti, La moglie di Asdrubale, Washington, D.C., National Gallery of Art
Fig. 3, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Visione del retro della tavola.
Fig. 4, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.
Fig. 5, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.
Fig. 6, Storie di Lucrezia, xilografia da Giovanni Boccaccio, De mulieribus claris, Ulm, Zainer, 1473.
Fig. 7, Eleonora d’Aragona, xilografia da Giacomo Filippo Foresti, De plurimis claris sceltisque mulieribus, Ferrara, Rossi, 1497.
Fig. 8, Busto di Eleonora d’Aragona, particolare da Guido Mazzoni, Compianto su Cristo Morto, Ferrara, Chiesa del Gesù.
Ercole De’ Roberti, Giovan Francesco Maineri (?), Lucrezia, Bruto e Collatino
Fig. 1, Ercole de’ Roberti, Porzia e Bruto, Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum
Fig.2, Ercole de’ Roberti, La moglie di Asdrubale, Washington, D.C., National Gallery of Art
Fig. 3, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Visione del retro della tavola.
Fig. 4, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.
Fig. 5, Ercole de’ Roberti, Lucrezia, Bruto e Collatino, Modena, Galleria Estense. Particolare del dipinto che evidenzia la tecnica d’esecuzione.
Fig. 6, Storie di Lucrezia, xilografia da Giovanni Boccaccio, De mulieribus claris, Ulm, Zainer, 1473.
Fig. 7, Eleonora d’Aragona, xilografia da Giacomo Filippo Foresti, De plurimis claris sceltisque mulieribus, Ferrara, Rossi, 1497.
Fig. 8, Busto di Eleonora d’Aragona, particolare da Guido Mazzoni, Compianto su Cristo Morto, Ferrara, Chiesa del Gesù.
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